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L'amicizia - Aristotele “Etica nicomachea”, libri VIII e IX.

di Italiana_Anonima del 02/05/2014 alle 20:11



“… le specie dell’amicizia sono tre, di numero uguale agli oggetti degni di essere amati: per ciascuna classe di essi, infatti, c’è una reciproca palese affezione, e quelli che si amano reciprocamente vogliono l’uno il bene dell’altro, bene specificato dal motivo per cui si amano. Orbene, quelli che si amano reciprocamente a causa dell’utilità, non si amano per se stessi, ma in quanto ne deriva loro, reciprocamente, un qualche bene. Parimenti nel caso in cui si amino a causa del piacere: infatti, essi non amano gli uomini spiritosi per il fatto che posseggono quella determinata qualità, ma perché a loro risultano piacevoli. Dunque, coloro che amano a causa dell’utile, amano a causa di ciò che è bene per loro, e quelli che amano per il piacere lo fanno per ciò che è piacevole per loro, e non in quanto l’amato è quello che è, ma in quanto è utile o piacevole. Per conseguenza, queste amicizie sono accidentali: infatti, non è in quanto è quello che è che l’amato è amato, ma in quanto procura un bene o un piacere. Per conseguenza, le amicizie di tale natura si dissolvono facilmente, perché gli amici non rimangono uguali a se stessi: se, infatti, uno non è più utile o piacevole, l’altro cessa di amarlo. E l’utile non è costante, ma è diverso di volta in volta. Quindi, svanito il motivo per cui erano amici, si dissolve anche l’amicizia, dal momento che l’amicizia sussiste in relazione a quei fini. Si riconosce che l’amicizia di questo tipo sorge soprattutto tra i vecchi (giacché gli uomini di tale età non perseguono più il piacevole ma l’utile), e negli uomini maturi e nei giovani sorge solo tra quelli che perseguono l’utile. Ma non è che costoro vivano molto in compagnia gli uni degli altri. Talora, infatti, non riescono piacevoli gli uni agli altri: perciò non sentono neppure il bisogno di tale compagnia, a meno che questi amici non siano utili. Infatti, in tanto risultano piacevoli gli uni agli altri, in quanto hanno la speranza di un bene. Tra queste amicizie viene posta anche quella verso gli ospiti. Invece, si ritiene che l’amicizia dei giovani sia causata dal piacere: questi, infatti, vivono sotto l’influsso della passione, e perseguono soprattutto ciò che è per loro un piacere immediato. Ma col procedere dell’età anche le cose che fanno piacere diventano diverse. È per questo che i giovani rapidamente diventano  amici e rapidamente cessano di esserlo: infatti, l’amicizia muta insieme col mutare di ciò che fa piacere, e il mutamento di un tale tipo di piacere è rapido. Inoltre, i giovani sono inclini alla passione amorosa, giacché gran parte del sentimento amoroso segue la passione e deriva dal piacere: perciò essi s’innamorano e cessano d’amare rapidamente, mutando sentimento più volte nello stesso giorno. Essi, però, vogliono passare insieme i loro giorni e la vita intera: è in questo modo, infatti, che si procurano ciò che si ripromettono dall’amicizia.L’amicizia perfetta, invece, è l’amicizia degli uomini buoni e simili per virtù: costoro, infatti, vogliono il bene l’uno dell’altro, in modo simile, in quanto sono buoni, ed essi sono buoni per se stessi. Coloro che vogliono il bene degli amici per loro stessi sono i più grandi amici; infatti, provano questo sentimento per quello che gli amici sono per se stessi, e non accidentalmente. Orbene, l’amicizia di costoro perdura finché essi sono buoni, e, d’altra parte, la virtù è qualcosa di permanente. E ciascuno è buono sia in senso assoluto sia in relazione al suo amico, giacché i buoni sono sia buoni in senso assoluto sia utili gli uni agli altri. E come sono buoni, sono anche piacevoli, giacché i buoni sono piacevoli sia in senso assoluto sia gli uni in relazione agli altri: infatti, per ciascuno sono fonte di piacere le azioni conformi alla sua natura e quelle dello stesso tipo, e le azioni dei buoni sono appunto identiche o simili. E una tale amicizia, naturalmente, è permanente, giacché congiunge in sé tutte le qualità che gli amici devono possedere. Infatti, ogni amicizia è causata da un bene o da un piacere, o in senso assoluto o in relazione a colui che ama, e si fonda su una certa somiglianza. Ma in questa amicizia si trovano tutte le cose suddette in virtù di ciò che gli amici sono per se stessi: in questa, infatti, gli amici sono simili, e c’è pure il resto (il buono e il piacevole in senso assoluto), e sono soprattutto questi gli oggetti degni di essere amati; per conseguenza, in questi uomini anche l’amore e l’amicizia sono del massimo livello e della migliore qualità. Ma è naturale che simili amicizie siano rare, giacché pochi sono gli uomini di tale natura. Inoltre, richiede tempo e consuetudine di vita comune: secondo il proverbio, infatti, non è possibile conoscersi reciprocamente finché non si è consumata insieme la quantità di sale di cui parla appunto il proverbio. Per conseguenza, non è possibile accogliersi come amici, né essere amici, prima che ciascuno si sia manifestato all’altro degno di essere amato e prima che ciascuno abbia ottenuto la confidenza dell’altro. E coloro che si scambiano rapidamente l’un l’altro i segni dell’amicizia, vogliono, sì, essere amici, ma non lo sono, se non sono anche degni di essere amati e se non lo sanno: infatti, la volontà di amicizia sorge rapidamente, ma non l’amicizia …” C’è, poi, anche un’aporia che riguarda lo sciogliersi o no dell’amicizia  verso persone che non restano le stesse. Non è forse vero che non è affatto strano che le amicizie fondate sull’utilità e sul piacere si sciolgano, quando non si hanno più questi vantaggi? È di quei vantaggi, infatti, che si era amici: venuti meno quelli, è naturale che non si ami più. Uno, poi, potrebbe lamentarsi, se uno, amando per l’utilità o per il piacere, facesse finta di amare per il carattere. Come infatti abbiamo detto all’inizio, la maggior parte dei contrasti tra gli amici nascono quando non sono amici nel modo in cui credono di esserlo. Orbene, quando uno si inganna e suppone di essere amato per il carattere, mentre l’altro non fa nulla di simile, deve incolpare se stesso; quando, invece, resta ingannato dalla simulazione dell’altro, è giusto che accusi l’ingannatore, ancor più che se fosse un falsificatore di moneta, nella misura in cui l’oggetto della sua frode è più prezioso. Ma quando si accoglie nella propria amicizia uno che si ritiene buono, ma poi quello risulta malvagio e ce se ne accorge, si deve forse amarlo ancora? Non è forse vero che non è possibile, dal momento che non ogni cosa è amabile,  ma solo ciò che è buono? E, poi, l’uomo malvagio non è degno di essere amato, e non si deve amarlo. Infatti, non bisogna essere amanti del vizio, né rendersi simili al cattivo: si è poi detto che il simile è amico del simile. Bisogna, dunque, sciogliere l’amicizia subito? Non è forse vero che non bisogna farlo con tutti, ma solo con quelli la cui perversità sia incorreggibile, mentre quelli che hanno la possibilità di raddrizzarsi si deve aiutarli ad emendare il carattere, più che non a ricostruire il patrimonio, tanto più quanto ciò è più nobile e più proprio dell’amicizia? Tuttavia, si ammetterà che chi scioglie l’amicizia in questo caso non fa nulla di strano; infatti, non è di un uomo di tal fatta che era amico; quindi, non essendogli possibile salvare l’amico che si è trasformato, se ne separa. E se, d’altra parte, rimane come è mentre l’altro diventa più virtuoso e cambia molto dal punto di vista della virtù, deve ancora trattare il primo come amico? Non bisogna forse riconoscere che è impossibile? Quando la distanza tra i due diventa grande, questo risulta particolarmente evidente, come nel caso delle amicizie strette nell’infanzia: se, infatti, uno rimane fanciullo nel ragionamento mentre l’altro è già un uomo maturo, come potrebbero essere amici, dal momento che ad essi non piacciono più le stesse cose e non provano più le stesse gioie e gli stessi dolori? Infatti, non hanno più l’uno per l’altro questi sentimenti, e senza di essi, come dicevamo, non possono essere amici, giacché non è loro più possibile vivere insieme. Ma di questo si è già parlato. Orbene, in tal caso, ci si deve comportare con l’altro non diversamente da come ci si comporterebbe se non fosse mai stato amico? Non si deve forse mantenere il ricordo della passata intimità, e, come pensiamo che si debba far piacere più agli amici che agli estranei, così non si deve forse concedere qualche riguardo a coloro che amici sono stati, in ragione proprio della passata amicizia, quando la rottura non è risultata da un eccesso di perversità?” .