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Il blog di _LOKI_ (13)



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Termopili "il grande passo":Leonida e i suoi 300

di _LOKI_ del 19/05/2010 alle 16:16



“Dei morti alle Termopili, gloriosa la sorte, bella la fortuna, e la tomba un altare. Invece delle lacrime resta il ricordo, la bellezza del gesto offusca il dolore.
La lapide di questi eroi, né la ruggine né il tempo mai la
corroderanno, perché questo luogo è reso sacro dal valore dei Greci.
Lo dirà per sempre il re spartano Leonida, che qui lasciò esempio estremo del suo coraggio e ne ricavò immortale gloria.
(Scritta, ad Atene, da Simonide di Ceo, circa 2500 anni fa)

Ci sono quadrati di terra che sono purissime promanazioni dello spirito di un popolo e ce n’è uno che più di tutti incarna la passione che pulsa nel profondo di un’intera plurimillenaria civiltà. La nostra.
Non è granché conosciuto, questo luogo; per nulla è meritevole di essere celebrato in quanto a bellezza intrinseca e tuttavia la sua stretta montuosa consistenza è stata un giorno idealmente  polverizzata, per essere poi ripartita - il più delle volte senza merito alcuno - in ciascuno di noi.

Termopili, 480 avanti Cristo, minimo passaggio tra il Monte Eta e il Golfo Maliaco. Si è visto di meglio, in questa parte d’Europa.
Al di là di ogni trito concetto di gloria, trecento greci difendono il valico che porterebbe i persiani diritti alla conquista della loro patria, dove la parola patria, per dei pecorai guerrieri mercanti, coincide con casa.
Vuol dire molto combattere a pochi passi da ciò che si ama, che sia il proprio emporio o il proprio figlio. Vuol dire dover trovare per forza la voglia di morire e trovare la disposizione a gettarsi nel buio a due metri dalle proprie certezze non è automatico.
Comunque, avere un cataclisma di nemici sul collo, aiuta a non farsi prendere dalla pigrizia.
Questi uomini sono posizionati in cima a un piccolo brullo discrimine, situato tra la libertà e la sua perdita, mentre il nemico, in numero di un milione di mercenari o simili, avanza.

Ovvio che le fonti greche esagerino la quantità  degli avversari, ma è cosa nota come i persiani non scherzassero e che, quando si muovevano alla conquista di qualcosa, lo facevano sul serio.
Il contingente spartano constava in realtà di quattromila uomini: duemila e settecento opliti, che era sinonimo di carne da macello e trecento spartiati, soldati atletici e ben addestrati, quelli che inevitabilmente noi ameremo per sempre.
Anche perché Leonida, quando, guardando l’orizzonte nero di nemici, comprese cosa doveva accadere, disse ai suoi opliti di tornare a casa.
Trenta decine di anime superstiti ed impaurite vedono l’esercito del Gran Re di Persia che implacabile sale; per i greci il re dei Persiani era grande per definizione e quello che guidava questi specifici persiani era Serse, che non se la cavava male.
I trecento militi ignoti sono lì, a resistere per ciò che hanno di più caro sulla terra nera. Fuggire a cosa servirebbe, tutto sommato?
E mentre i persiani si avvicinano a questo sito indegno di gite, i greci in preda al terrore aspettano armati e disperati, nascosti tra le rocce come scarafaggi quasi coraggiosi. Questi poveracci disperati all’inizio sono pietre nell’attesa. E chi riesce a muoversi, con quella bipede macchia scura che sale?

Un soldato più deciso degli altri abbatte il primo nemico e poi, in un crescendo di convinzione, ne vengono colpiti decine e decine d’altri e le Termopili sono corpi e sangue. Per tre giorni questi disgraziati si difendono e ammazzano e infine vengono macellati tutti, spartiate dopo spartiate.
I mitici combattenti dell’est passano così sui loro cadaveri, dirigendosi ad Atene con l’intento di distruggerla. Ma la loro voglia di continuare è minata, ormai. E così, da morti, i trecento vincono la sfida perduta e le Termopili diventano la chiave di volta della storia.
Toglile, e la Grecia diventa una provincia anonima di un impero lontano, e la stagione della nostra nascita si appanna tra spezie d’oriente.
Non esistiamo più come ci conosciamo.
Cancella le Termopili e scompare il Partenone, svanisce il Colosseo, il Louvre e la National Gallery diventano polvere. Un’orrida carneficina o un commovente atto di coraggio?
Quassù, seduti su un sasso, non si sente trasudare eroismo dal luogo.
Ma leggendo questa storia per come l’hanno raccontata i greci, da uomini miracolati e liberi, viene da piangere.
Non sappiamo cosa ne abbiano pensato in Persia, dell’impresa ellenica, ma non un gran bene. O forse non ne arrivò neppure l’eco.
Sempre seduti sul sasso termopolitano, viene da chiedersi in primo luogo se quegli arabi ante-litteram fossero così tanti e così cattivi e poi come trovarono questi eroi la forza per compiere un gesto tanto estremo e inevitabile.

Erano spartani, questo già qualcosa fa. Figli della Grecia meno bella, meno teatrale e sapiente. Trecento soldati addestrati fin dall’asilo a credere, obbedire e combattere. Guidati da Leonida, un generale che solo a nominarlo si alza dalla terra secca un felino ruggito.  
Si dice da millenni che fu un sacrificio inutile, che, se i soldati inviati da Sparta fossero stati un po’ di più, non sarebbero stati massacrati.
E in fondo, poi, la vittoria in questa che in seguito si chiamò “Seconda Guerra Persiana”, la portarono a casa gli ateniesi, distruggendo la flotta nemica a Salamina, mentre le truppe di fanteria persiana sopravvissute alle Termopili - che non erano tutto sommato così sparute - mettevano a ferro e fuoco un’Atene deserta che nel frattempo, mentre gli spartani trattenevano l’invasore (fatto su cui poi si glissò amabilmente) era stata evacuata.

Gli ateniesi fanno la figura degli astuti strateghi, gli spartani degli ottusi perdenti. Indomiti, ma ottusi. E perdenti.
Ma Salamina evoca una gita con barbecue, non un sacrificio esponenziale come le Termopili, le “Porte Calde”, infimo passaggio arroventato per sempre dal sangue sgorgato dagli spartani, che non raccontarono questa storia, perché la narrarono gli altri, che non ebbero Fidia a scolpire la loro gloria nel marmo, ma il laconico silenzio di una virtù muta.
Come si svolse tutta la faccenda ce lo dice l’ateniese Erodoto, il primo storico della storia, che salvò il suo prezioso talento fuggendo da Atene, mentre gli spartani morivano in montagna per lasciare anche a lui il tempo di vivere.
Capitò loro la sorte di cambiare il corso delle cose in uno sfondo poco evocativo, poveri spartani. E, siccome è difficile trovare uno spunto quaggiù su questa pietra tra le pietre, ci si chiede come abbiano fatto allora i trecento leoni sacrificali a trovare l’ispirazione per la battaglia e la conseguente morte.

Il fatto è che l’ispirazione si trova in qualsiasi centimetro cubo del globo, e l’unico vero segreto per trovarla non è andare qui o là o dove altri l’hanno trovata. No. L’unico vero segreto per trovare l’ispirazione è portarsela da casa.
Da Sparta i nostri eroi avevano portato le loro ragioni per salvare ciò che poteva sopravvivere da loro: l’ispirazione è quel miracolo per cui si riesce per un attimo a scorgere nel presente il futuro remoto. Invece il segreto su come si può trasformare una sconfitta in vittoria se lo sono portato nella tomba: un’anima lacedemone impara presto a rassegnarsi a un avvenire postumo.
Noi remoti del futuro - o almeno quelli di noi che non sono del tutto convinti di essere cittadini della filosofa, artistica, teatrale Atene - abbiamo invece sbagliato prospettiva stando seduti su un sasso.
I figli di Sparta vivono in piedi.






Se....

di _LOKI_ del 13/04/2010 alle 20:11



SE...


Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,
E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
E trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non dire una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tener duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!".

Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni minuto che passa,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E - quel che è di più - sei un Uomo, figlio mio!






5 Maggio

di _LOKI_ del 10/04/2010 alle 14:59




Ei fu. Siccome immobile,
ferito dalla Lazio,
stette Moratti incredulo
mirando cotanto strazio,
così percossa, attonita
Milano neroazzurra stà,
muta pensando all'ultima
del fato malignità ;
neppur sapendo quando
il destin beffardo e rio
un'altra occasione
di nuovo gli offrirà.
Ronnie piangente in panca
vide lo scempi...o e tacque;
quando, ginocchio fragile,
cadde, risorse e giacque,
capì che giù all'Olimpico
per lui cattive son le acque;
Vieri mercenario che
per l'inter fece al Trap oltraggio,
giace or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e nasce nel suo cor una certezza :
giocar nell'inter l' è proprio n'a schifezza.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanare al Reno,
il popolo interista
è sempre più di meno;
a loro nulla resta
mai stati là in Giappone,
nient'altro che stucchevoli
amichevoli in regione.





Il secondo avvento

di _LOKI_ del 28/01/2010 alle 15:53



Roteando nel giro che si allarga
non puo' il falcone udire il falconiere.
Crolla ogni cosa,il centro piu' non tiene
l'anarchia pura esplode contro il mondo
la sanguigna marea s'innalza 
e ovunque
la cerimonia di innocenza è spenta.
Manca,il migliore,ogni convincimento
e ai malvagi piu' intensa è la passione.
Di certo sopraggiunge una rivelazione
senza dubbio il secondo avvento si avvicina....
Secondo avvento.....
A queste parole,dallo spiritus mundi
sorge immane un immagine a turbarmi la vista
tra sabbie di un deserto
un corpo di leone con la testa di un uomo
vacui gli occhi e spietati come il sole
le lente cosce avanzano
mentre intorno volan l'ombre infuriate di uccelli del deserto.
Di nuovo cala il buio.
Ma or mi è chiaro
che venti secoli di sonno simili a pietra
sconvolse come un incubo
l'ondeggiar di una culla
e quale rozza bestia
giunto infine il suo tempo
striscia verso betlemme per essere partorita





La balada del diablo y la muerte

di _LOKI_ del 24/12/2009 alle 16:51



Balada Del Diablo Y La Muerte

Estaba el diablo mal parado en la esquina de mi barrio 
ahi donde dobla el viento y se cruzan los atajos. 
Al lado de él estaba la muerte, 
con una botella en la mano me miraban de reojo 
y se reían por lo bajo. 
Y yo que esperaba no sé a quién, 
al otro lado de la calle del otoño 
una noche de bufanda que me encontró desvelado, 
entre dientes oí a la muerte que decía así: 

Cuántas veces se habrá escapado, 
como laucha por tirante 
y esta noche que no cuesta nada, ni siquiera fatigarme, 
podemos llevarnos un cordero, con solo cruzar la calle. 
Yo me escondí tras la niebla y miré al infinito, 
a ver si llegaba ese que nunca iba a venir. 

Estaba el diablo mal parado en la esquina de mi barrio, 
al lado de él estaba la muerte, 
con una botella en la mano. 

Y temblando como una hoja, 
me crucé para encararlos, 
y les dije, me parece que esta vez 
me dejaron bien plantado. 
Les pedí fuego y del bolsillo 
saqué una rama pa'convidarlos 
y bajo un árbol del otoño 
nos quedamos chamuyando, 
me contaron de sus vidas, 
sus triunfos y sus fracasos, 
de que el mundo andaba loco 
y hasta el cielo fué comprado 
y más miedo que ellos dos, 
me daba el propio ser humano. 
Y yo ya no esperaba a nadie, 
y entre las risas del aquelarre 
el diablo y la muerte se me fueron amigando, 
ahí donde dobla el viento y se cruzan los atajos, 
ahí donde brinda la vida en la esquina de mi barrio






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